Anche l'ISTAT e CittadinanzAttiva in fatto di sanità sono dei nostalgici??? Stampa
Giovedì 26 Dicembre 2013 19:38

Dal momento che SPS, insieme all'ARS, ad ogni nuovo incontro con i vertici sanitari per sempre nuovi problemi (!) continua ad essere accusata di essere “nostalgica”, di non capire che le esigenze sono mutate e che le le poche risorse finanziarie devono essere spese in modo efficace (!), facciamo notare che voci ben più autorevoli delle nostre hanno proprio in questi giorni di fine 2013 pubblicato un loro rapporto di estrema e inconfutabile gravità:

 

Si tratta del Rapporto ISTAT pubblicato il 24/12/13 http://www.istat.it/it/archivio/salute-e-sanit%C3%A0 e del Rapporto di Cittadinanzattiva, specifico sulla Cronicità, pubblicato il 13/12/13 e scaricabile per 2,00 Euro come e-book da http://www.cittadinanzattiva.it/gestione/negozio/


Consigliamo vivamente la lettura.


Il Rapporto ISTAT dimostra come sempre più persone rinunciano ad almeno una prestazione sanitaria erogabile dal Servizio sanitario nazionale, pur ritenendo di averne bisogno. La salute degli italiani è sempre più condizionata dalla crisi economica: nel 2012, l’11% della popolazione (oltre 6 milioni di persone!) ha infatti dichiarato di non aver potuto usufruire di almeno una prestazione necessaria. E, attenzione, non solo chi non poteva permettersela per problemi finanziari, MA.... anche chi ha rinunciato per motivi di offerta, cioè liste di attesa troppo lunghe, luogo scomodo da raggiungere, orari difficili da conciliare.
Chi può quindi si rivolge al privato, chi non può rinuncia a quel che sarebbe stato, secondo la nostra Costituzione, suo diritto.

 

Siccome però, proprio qui a Sacile, il focus del contendere attuale ruota sul governo della cronicità, dedichiamo qualche riga in più al XII Rapporto sulle politiche della cronicità di Cittadinanzattiva, dal titolo emblematico, Permesso di cura”, che (parimenti allo studio della provincia di PN sulle politiche abitative) tocca a SPS portare a conoscenza della cittadinanza.

Quanto sinteticamente riportato nel titolo del comunicato stampa dovrebbe bastare a fugare ogni dubbio che finora, tra il dire e il fare, pare esserci ancora molto molto molto mare. La sintesi del rapporto infatti recita: “Tra costi elevati e difficoltà sul lavoro, curarsi è un lusso. Il disinvestimento nel welfare mette a dura prova i cittadini che, costretti confrontarsi con la crisi dei redditi familiari e con le discriminazioni regionali nell’accesso alle prestazioni socio sanitarie, ritardano o rinunciano alle cure necessarie.”

 

 

Per gli italiani avere una o più patologie croniche o rare, o accudire una persona malata, è ormai diventato un “lusso”. Costi diretti ed indiretti della malattia sono diventati ormai insostenibili per un numero crescente di pazienti e di famiglie. E il paradosso è che per contrastare la valanga di oneri si arriva addirittura a “nascondere” la propria patologia nei posti di lavoro o ci si accontenta di un lavoro non adatto alle proprie condizioni fisiche. Inoltre il welfare non riesce a rispondere alle richieste di malati e famiglie. Ci sono difficoltà di accesso ai farmaci e assistenza domiciliare e riabilitazione sono messe a dura prova dai tagli.

 

Ma guarda un po'???!!!

 

“Per ‘fare cassa’ si continua a smantellare il Sistema sanitario nazionale o peggio ancora a svendere i diritti dei cittadini alla salute, al lavoro e all’inclusione sociale”, afferma Tonino Aceti, coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malato e collaboratore di Cittadinanzattiva. Si aggiunge la beffa che, secondo il nuovo regolamento ISEE, i trattamenti assistenziali, come indennità di invalidità civile e di accompagnamento, sono considerati “fonti di reddito” e quindi da sommare ai redditi familiari.

 

Gli scenari emersi dal Rapporto sono chiari: la Cronicità è in aumento. Chi dichiara di avere almeno una patologia cronica è ormai il 38,6%, cioè +0,2 per cento rispetto al 2011.

Le malattie croniche le più diffuse sono: artrosi/artrite, ipertensione, malattie allergiche, bronchite cronica, asma bronchiale (parentesi: ecco perchè l'impegno di SPS contro l'inquinamento) e diabete .

Naturalmente nel nostro paese anche vivere in una regione o in un’altra può fare la differenza: si sta peggio in Calabria e dove i malati cronici godono di migliore assistenza, e quindi salute, sono le Province Autonome di Trento e Bolzano... come sempre.

 

Per le famiglie italiane sempre più povere, con il 24,1% di esse che si trova in una condizione di deprivazione materiale, non è nemmeno possibile parlare di “stili di vita sani”. Molte famiglie, troppe, non possono permettersi un pasto proteico almeno una volta ogni due giorni o una settimana di ferie all’anno, non possono riscaldare adeguatamente la propria abitazione o far fronte a spese impreviste.

Chi è affetto appunto da malattia cronica non riesce a conciliare l’orario di lavoro con le esigenze di cura ed assistenza, al punto che arriva a licenziamenti o mancato rinnovo del rapporto lavorativo. E non solo per loro, ma anche in molti casi per i familiari che li assistono.

(Non dimentichiamo che l'ex Ministra coccodrillo, Fornero, aveva addirittura introdotto una grave penalizzazione per chi chiedeva un congedo per assistere familgiari disabili: per ogni giorno di permesso un giorno di ritardo per la pensione! Oggi l'articolo 1, comma 327 della legge di stabilità del Governo Letta almeno ha eliminato quesa indecenza.)

Alle difficoltà che però oggettivamente permangono per esigenze di cura o nell'assistenza si aggiungono i costi sostenuti dalle famiglie. Chi non può pagare, in una percentuale che arriva anche all’80% di chi è in cura, rinuncia alla riabilitazione, al monitoraggio della patologia, ad acquistare i farmaci non dispensati, alla badante, all’acquisto di protesi e ausili non passati dal servizio sanitario nazionale.

 

L’assistenza domiciliare integrata è spesso insufficiente. Così come la riabilitazione, la cui principale criticità riguarda i tempi di attesa incompatibili e la mancanza di posti letto e strutture (!!!). Particolarmente critica la durata del ciclo riabilitativo, considerata al 73% inadeguata.

 

La diagnosi è troppo spesso in ritardo di anni. E la “prevenzione” resta una bella parola con pochi fatti: poco incisiva la prevenzione primaria (corretti stili di vita); decisamente inadeguata o del tutto carente la prevenzione secondaria (interventi per una diagnosi precoce e per la riduzione del danno). Per la prevenzione terziaria (relativa alle complicanze) si può quasi ritenere che non si faccia.

Anche il singolo, più convinto della prevenzione, ha difficoltà ad accedere alle visite specialistiche o esami diagnostici necessari ed è quindi costretto a sostenere costi privati per accedere a queste prestazioni.

 

A proposito, che ne è del Piano Regionale della Prevenzione? Quello che doveva valere fino al 2012 ma che poi è stato "prorogato" fino al 2013? Quel 2013 che tra 4 giorni termina e che avanza al 2014?

 



Ultimo aggiornamento Giovedì 02 Gennaio 2014 12:25
 
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