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Il trasferimento del Csm in ospedale: fine della psichiatria riformata a Pordenone ? PDF Stampa E-mail
Lunedì 16 Luglio 2012 07:34

Tutto ha un senso. Anche chi non creda alle psicoanalitiche associazioni di idee, sa che due coincidenze fanno una certezza, o perlomeno una buona traccia indiziaria.

Vuoi che sia casuale che – nell'epoca in cui si vuole archiviare per sempre la legge 180, ritornando ai manicomi del passato, con il loro carico di disumane sofferenze – il Centro di Salute Mentale di Pordenone venga trasferito dalla villetta di Via De Paoli, in mezzo al verde cittadino, all'Ospedale cittadino?

Vuoi che abbia senso che, già in questi giorni, i cittadini-utenti vengano ricevuti in mezzo al martellare dei lavori edili di ristrutturazione, con scarso rispetto per il loro disagio e la loro privacy ? (...d'altronde chi scrive aveva pure lui potuto provare l'esperienza dei martelli pneumatici nella sala sottostante, e contemporaneamente in quella soprastante, del letto ospedaliero dov'era degente dopo una serissima – ma ben praticata - operazione chirurgica: di che ormai ci stupiamo?).

Con tipica logica italiota, il Csm se ne andrà in ospedale, mentre il Consultorio familiare andrà al posto del Dsm. Il classico gioco dei quattro cantoni, peccato che – a noi collettività, impoverita e tassata – tutto ciò costi un bel po'.

Ma non è l'aspetto economico quello più grave: pur in una città che ha perso, per colpevole e quasi unanime scelta di una "classe politica" infettata mortalmente dalla "malattia del muro", i finanziamenti per ammodernare il suo ospedale, al fine di aprire le cateratte dell'inferno della speculazione sul "nuovo" ospedale in Comina.

Restringere la Salute Mentale in Ospedale vuol dire non capire nulla, assolutamente nulla, di Salute Mentale. Vuol dire negare la sua natura di disagio umano e malattia, lenibile e curabile, se si evitano le strettoie delle emergenze, le semplificazioni farmacologiche, le violenze delle tante forme di contenzione, l'abbruttimento dell'emarginazione, il tunnel del ricovero come unica e semplice risposta. In parole povere, l'ignoranza dei rozzi e dei tecnocrati, quelli pagati per non capire e quelli pagati per capire bene, e fare carriera.

I luoghi, i tempi ed i modi hanno un senso. Via De Paoli è stata il luogo in cui, in centro città, in un luogo fisicamente piacevole, per quarant'anni donne ed uomini hanno potuto avere una risposta civile al loro disagio ed alle loro domande. Grazie ad uno dei primi compagni di Franco Basaglia, Lucio Schittar, ad suo successore Enzo Sarli, ed a tante operatrici ed operatori che hanno arricchito questa città.

Una sede aperta in tutti i sensi, diventata non a caso punto di riferimento per un sacco di associazioni legate alla Casa del Volontariato.

Qui, tra l'altro, sono nate le due principali cooperative sociali pordenonesi, Noncello ed Itaca, di cui ho avuto la fortuna di essere socio: ormai duemila persone, ormai quasi la più grande azienda di questa provincia (che, giustamente, sta per essere abolita, non avendo più nè i Cotonifici, né la Zanussi, né altre eccellenze, come tra poco sarà per uno dei Dipartimenti di Salute Mentale "storici" della riforma italiana e mondiale). Se centinaia di persone hanno potuto trasformare il disagio in risorsa (come è di moda dire, spesso a sproposito), ciò non è stato dovuto ad un ricovero ospedaliero, ma alla medicina di comunità ed a politiche di integrazione sociale-sanità-lavoro avanzate.

Cosa c'entra l'ospedale con la Salute Mentale? Caso mai, va trasferito dal 7° piano dell'ospedale il Diagnosi e cura psichiatrico, per collocarlo in una sede adatta e non lasciarlo chiuso come un manicomietto. In altre città, ormai, gli Spdc sono a "porte aperte", ma come si fa a farlo in cima ad un grattacielo?

Ancora una volta, burocrati ottusi e politici distratti dalle "loro cose" distruggono decenni di lavoro di una città. Bisogna fermarli, prima che sia troppo tardi.

Gian Luigi Bettoli