La lezione di Prà di Risi, la zona industriale di Zoppola sorta sui terreni assoggettati ad esproprio lungo la Cimpello-Sequals, dovrebbe andare oltre i confini di Zoppola e valere come monito per tutti. La questione della misura degli indennizzi, fissata troppo in basso, per cui ora il Comune di Zoppola potrebbe andare in bancarotta visto che si tratta di rimborsare circa 7milioni di Euro, pari al Bilancio comunale, è solo una parte del problema. Poco conta che ora si scatena la solita corrida contro questo o quel politico che allora aveva avvallato la creazione di una zona Pip dando il via alla catena di eventi conseguenti, oppure contro questo o quel tecnico che aveva il compito di stendere la perizia sul valore dei terreni e che evidentemente nessun allora ha contestato. Lasciamo che il sangue scorra tra le varie fazioni e occupiamoci di quanto dovremmo trarne a nostro insegnamento. Quello che è certo è che, dove non si rivolta la natura, spesso comunque si paga in altre forme. In questo caso il conto è ben salato per i cittadini di Zoppola. C'è da chiedersi quali sono i portatori di interessi forti che regolano le decisioni degli amministratori che dovrebbero essere al loro posto per tutelare in primis il bene pubblico. C'è da chiedersi perchè ogni anche piccolo Comune deve avere la "sua" zona industriale. C'è da chiedersi quanto poco contano i costi futuri a fronte di apparenti guadagni immediati, voti compresi. C'è da chiedersi oggi, quando percorriamo la Cimpello-Sequals, se quello scempio di capannonizzazione del territorio aveva proprio ragion d'essere con le zone industriali di Pordenone, di Cordenons, di Fiume Veneto e di San Vito a un tiro di schioppo. C'è da chiedersi perchè anche il Comune più piccolo rivendica una sua zona industriale (in futuro una commerciale). C'è da chiedersi quale prezzo paghiamo continuando a creare zone industriali a macchia di leopardo e al tempo stesso non far nulla per recuperare quelle esisteni, anzi, disseminare chilometri quadrati con cadaveri di capannoni vuoti.
A tal proposito non è male ricordare che una sentenza del Consiglio di Stato (6656/2012) afferma al paragrafo 2.1 che « l’urbanistica e il correlativo esercizio del potere di pianificazione, non possono essere intesi, sul piano giuridico, solo come un coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al diritto di proprietà, ma devono essere ricostruiti come intervento degli enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo e armonico del medesimo; uno sviluppo che tenga conto sia delle potenzialità edificatorie dei suoli, non in astratto, ma in relazione alle effettive esigenze di abitazione della comunità ed alle concrete vocazioni dei luoghi, sia dei valori ambientali e paesaggistici, delle esigenze di tutela della salute e quindi della vita salubre degli abitanti, delle esigenze economico-sociali della comunità radicata sul territorio, sia, in definitiva, del modello di sviluppo che s'intende imprimere ai luoghi stessi, in considerazione della loro storia, tradizione, ubicazione e di una riflessione de futuro sulla propria stessa essenza, svolta per autorappresentazione ed autodeterminazione dalla comunità medesima».
Certo la colpa non è solo degli amministratori dalla vista corta e degli interessi forti che poco si curano dei danni nel futuro. E' certo anche dei cittadini. Non tutti grazie al cielo. Ci sono anche quelli che sanno che difendere il proprio territorio alla fine è il vero guadagno. Ma per capire quanto facilemnte ieri si voleva a tutti i costi il proprio terreno "edificabile" e oggi, perchè c'è crisi edilizia si cambia idea, basta pensare alla corsa in questi ultimi anni nel far cambiare la destinazione d'uso dei terreni edificabili in terreni nuovamente agricoli. Ovvio, la crisi, ma la questione di fondo è altra: se infatti è giusto che le varie amministrazioni, Sacile compresa, tengano conto dei tempi difficili e sgravino in questo modo i cittadini dalle tassazione per terreno edificabile, è allora ancor più giusto - sempre nell'ottica del "bene pubblico" - dire che la destinazione a "terreno agricolo" tale resterà. Perchè è palese che i nostri amministratori che fino a ieri si appellavano ai "diritti edificatori" ora con la stessa facilità e sicurezza non ci pensano due volte ad assecondare le richieste di trasformazione in terreno agricolo. Ma come? Tu amministratore allora come hai valutato che quel terreno "doveva" essere edificabile? Ora ad un tratto non lo è più? Non se ne sente più l'esigenza per la nostra città? O forse l'esigenza di chi era e in cambio di cosa era tale? Ricordate ad es. quanto la nostra amministrazione si era spesa per convincerci che Sacile aveva asssssssoluto bisogno delle due "torri" (una all'entrata ovest e una al posto dell'odierno Despar) e di come ad un tratto nessuno ne ha parlato più?! Allora servivano assssssolutamente o no?! Ah quanto facilmente noi cittadini dimentichiamo questi peccatucci politici.....
Lo stesso scenario, la stessa corsa verso il burrone, è oggi quello delle aree a "vocazione commerciale": Il nodo della questione infatti è sempre quello che SPS da anni cerca di far capire: NON ESISTE una "VOCAZIONE EDIFICATORIA" del territorio.
Voi, cari lettori, direte, perchè i nostri amministratori non solo non conoscono le sempre più numerose sentenze che danno ragione ai comuni virtuosi che rifiutano di subire passivamente la storiella dei "diritti edificatori", ma è anche perchè i nostri amministratori non conoscono Tommaso d'Aquino il quale, nella Summa Theologiae (I-II, 90, 3), scrive: «...Come l'uomo è parte della casa, così la casa è parte della città; e la città è la comunità perfetta, come si dice in Aristotele, Politica (Aristotele, infatti, lì parla della "polis"). E perciò, siccome il bene del singolo uomo non è l'ultimo fine, ma è ordinato in funzione del "bene comune"; nello stesso modo, il bene di una casa è ordinato in funzione del bene di una città, la quale è la comunità perfetta».
Eh, magari fosse solo perchè non ha letto Tommaso d'Aquino che la politica è così ... insipiente.... |