Pare proprio che non sia stato fatto alcun passo avanti relativamente a quel fenomeno che sta mettendo in subbuglio da due tre anni la città di Sacile, non nelle vesti di immigratii bensì in quelle di un gruppetto di giovani in maggioranza italiani. La cosa in sé non dovrebbe stupire chi guarda con occhi onesti e attenti la nostra società: ragazzi che noi adulti abbiamo “perso per strada”. Li hanno persi le famiglie, li ha persi la scuola, li ha persi la politica, li ha persi ogni adulto che al primo segnale di disagio ha preferito far finta di niente piuttosto che intervenire. Perché intervenire è faticoso. Non si tratta solo di figli di famiglie in difficoltà. Il lassismo educativo alberga sovente in casa di famiglie senza rilevanti problemi economici. Meglio assecondare, poi, quando i capricci si trasformano in scene di rabbia ingestibili, ai genitori iperimpegnati in tutto meno che con i loro figli, saltano i nervi stressati. E allora giù chi urla di più, giù minacce che poi non si realizzano, e, man mano che i figli crescono, anche con un vocabolario sempre più condito di parolacce e accuse varie. Ottimo esempio. Fallimento sicuro. Comunque la colpa non è mai di mamma e papà. La colpa è dei nonni, della tata, dei compagni di asilo o di scuola, delle maestre, ecc; in caso di separazione è sempre colpa dell’altro coniuge. Se qualche anno dopo il pargolo adolescente viene inequivocabilmente pizzicato come autore di una prima marachella fuori dalle mura domestiche i genitori non gli spiegano che ora lo aspetta una giusta sanzione, ma si ritengono offesi e si presentano con l’avvocato. Non tanto per amore della prole quanto piuttosto per essere sicuri di venir assolti dal loro fallimento educativo.
Dire pochi ma irremovibili no, far rispettare alcune regole chiare, porre dei limiti, insegnare che non si può essere sempre i primi, che il rispetto delle persone e del mondo intorno a noi ci rende sereni e che la propria forza di dimostra aiutando chi è più debole, mantenendo le promesse, portando a termine qualcosa che costa fatica, … Tutto questo gli adulti non lo possono né spiegare né imporre, lo devono innanzitutto dimostrare in prima persona giorno dopo giorno. Certo, costa energia, ma il guadagno futuro è enorme: figli sereni, che sanno adattarsi alle varie situazioni, che sanno dimensionare l’insuccesso e reagire alla prima inevitabile sconfitta, che sanno compiere scelte autonome e assumersi le responsabilità, che non hanno bisogno di farsi notare per la griffe sui vestiti o la macchina scossa dall’autoradio a tutto volume, che non sono schiavi della tv, di internet, del gioco, della velocità, dei rave-party, di una squadra di tifoseria, dell’alcol, della coca, di una setta, ecc. ecc. ma che, soprattutto, hanno dei sogni e degli scopi per la loro vita. Quando un gruppo di ragazzi viene definito baby gang significa che ha ormai intrapreso la strada del reato. Forse perché vivono alla giornata, senza idea del domani, senza progetti per il futuro, senza un qualcosa di proprio che dia loro il senso di riuscirci. Chi commette reato va punito. Ma ricordiamoci che per loro ogni punizione vale il doppio, perché ai ragazzi facciamo pagare anche la colpa di noi adulti – compresa quella, purtroppo molto probabile, di non comprendere la portata di ciò che stanno facendo. Ora l’ordinanza del Sindaco relativa ai Graffiti (in piena sintonia con le "Disposizioni concernenti il reato di deturpamento e imbrattamento di cose altrui" contenute nella Legge 94/2009 sulla sicurezza pubblica, articolo 3, commi da 3 a 5, dell’attuale Governo) è legittima dal punto di vista dell’Amministratore che deve tutelare il decoro della sua città, ma dimostra palesemente l’assenza di qualsiasi gesto di avvicinamento e di contrattazione civica. Perché non tentare prima di offrire un alternativa? Un alternativa che non può essere sempre solo quella di un centro di aggregazione comunque gestito ufficialmente con tutto ciò che ne deriva (presenza educatori, luoghi e orari definiti, programmi e iniziative articolati, ecc.). Per quanto ineccepibile sia il lavoro degli operatori gli adolescenti hanno bisogno di avere dei momenti in cui non vedere ombra di adulti, stare in gruppo, autorganizzarsi. Diventano un tutt’uno con il loro gruppo e l’adulto, anche fosse il più simpatico del mondo, è percepito come un corpo estraneo, un nemico. E’ un loro diritto quello di non sentire sempre il nostro fiato sul collo. Permette di crescere. Esattamente come un bambino non può sempre essere guidato nel gioco dal genitore ma deve giocare da solo per potersi perdere totalmente nel suo mondo di fantasia. Allora perché non prevedere uno spazio dedicato ai Graffiti? Spiegare ai ragazzi perchè per forza di cose questo spazio deve essere ben delimitato, ma offrire al tempo stesso una possibilità di vera autogestione. Fiducia per fiducia. E magari prospettare, in caso di riuscita, un percorso partecipativo per creare in futuro un evento dedicato ai Graffiti, che sono anche riconosciuti come forma di espressione artistica. Insomma, cerchiamo di non dimenticare quanto importante fosse anche per noi il “gruppo” e cosa sentivamo, sognavamo, contestavamo e combinavamo noi stessi. Teniamo presente che però avevamo avuto delle famiglie vicine che ci avevano ben delineato i confini del pericolo e dell’illecito, indicazione che oggi manca a molti ragazzi. Mettiamoci quindi un po di più impegno per aiutarli a trasformare i loro disorientamenti, i loro malesseri e le loro rabbie in una certo non omologata ma consapevole convivenza civica.
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Commenti
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