Da più parti (politiche e non) sono stato stimolato ad una riflessione sul Piano per l’Eliminazione delle Barriere Architettoniche (PEBA), lavoro recentemente concluso e presentato dall’Amministrazione comunale. Il PEBA è uno strumento previsto dalla legge 104 del 1992 (legge quadro sui diritti delle persone handicappate) riferito agli spazi urbani e ancor prima dalla legge 41 del 1986 riferito agli edifici pubblici. E’ uno strumento che pochi comuni hanno e ciò dimostra che non è ancora abbattuta la barriera delle barriere: quella culturale. Abitiamo in una civiltà che si fonda sulla tutela dei più numerosi, della normalità – che è il nome elaborato ideologicamente per significare maggioranza. La politica, anche e soprattutto quella locale, ha oggi mezzi e capacità per compensare limiti o difficoltà fisiche o sociali.
Dopo quattro anni di latitanza, l’Amministrazione sacilese nel giugno del 2013 organizzò un convegno (tutto sommato di buon livello) in cui si annunciò di voler “affrontare il problema” (l’accessibilità è vista come un problema anziché una risorsa) e ad aprile 2014, con un altro convegno (tutto sommato scadente), si annuncia di voler “comunicare i risultati”. Tutto ciò ha un sapore fortemente elettoralistico. Le riforme importanti, quelle che distinguono un’Amministrazione, si fanno nel primo anno di mandato. Questo studio va comunque accolto positivamente, così come positivo è stato il coinvolgimento dei ragazzi della scuola media per l’opera di sensibilizzazione, e la sperimentazione di un nuovo strumento informatico di valutazione. Ma cos’è, in buona sostanza il PEBA, questo PEBA. E’ un mero elenco, una ceck-list, un rilievo delle criticità fisiche presenti nel nostro ambito urbano (notoriamente definite con l’orrenda dicitura “barriere architettoniche”) che impediscono, di fatto, la fruibilità di parti della città a persone diverse per capacità percettive, motorie e cognitive. Ma con la stessa voglia di vita. Condizioni della città che determinano una discriminazione. Questo piano è solo la fase conoscitiva, la fotografia dello stato di fatto. La fase programmatoria non mi pare pienamente sviluppata: non contiene indirizzi per le soluzioni progettuali di adeguamento, non una stima attendibile dei costi d’intervento, né la programmazione temporale, né la scala delle priorità. Inoltre, a parte la presenza di rito ai convegni dei rappresentanti delle Associazioni, non è nota la consultazione con le persone che aiutano i disabili, né sappiamo se c’è stato un accantonamento specifico nel bilancio comunale. A livello di fase attuativa, o concreto: nulla. Francamente, conoscendo la sensibilità per questa tematica dell’amico assessore F.Scarabellotto, era del tutto lecito attendersi qualcosa di più. Il concetto di accessibilità è molto affine al concetto di libertà (in questo caso di movimento, di conoscenza, ecc.) e include la sicurezza e l’autonomia. L’accessibiltà proprio perchè si fonda sul rapporto tra persona e ambiente può essere il catalizzatore per un riesame dello spazio pubblico. Una cosa è certa: dove l’accessibilità è scarsa è scarsa anche la qualità urbana. Uno spazio accessibile si ottiene non quando è stato pensato per i disabili, ma anche per i disabili, cioè deve funzionare per tutti. Nel secondo convegno è stata mostrata una proposta di Stefano Bottecchia, ma non è chiaro il rapporto con il PEBA. Questa proposta, redatta alcuni anni fa, individua quattro percorsi pedonali (distinti da colori) che connettono piazza del Popolo con luoghi urbani primari (palazzetto dello sport, campi sportivi, ospedale, scuole, ecc.) che dovrebbero essere oggetto di modificazione e resi accessibili. Ho fatto parte del percorso rosso (via Martiri Sfriso, via XXV aprile, piazza IV novembre, via Garibaldi, piazza del Popolo -strade carrabili con marciapiedi laterali - lunghezza 500 m ca.): si incontrano o meglio ci si scontra con 9 (nove) situazioni di difformità alle prescrizioni normative (L. 13/89 e DM 236/89) percorrendo il lato sud mentre il lato nord è semplicemente inaccessibile da una persona in sedia a ruote o da un cieco o ipovedente se non accompagnato. Ma anche da una mamma con carrozzina. Questo è solo un esempio per evidenziare l’entità della condizione attuale. Il tema dell’accessibilità, è una questione apartitica, è un impegno civile per una città più solidale, più accogliente, più rispettosa delle persone. (A proposito, va notata l’evoluzione terminologica; finalmente a mio parere, si è pervenuti ad una definizione convincente. Dopo aver sentito per anni connotazioni negative quali: “minorati”, “impedite capacità”, “handicappati”, “portatori di handicap”, fino al “diversamente abile” -appena accettabile- ora si parla di “persona disabile”. Mi pare un cambiamento culturale importante, perché di cultura in fondo si tratta). L’accessibilità: un tema che la prossima Amministrazione non potrà derogare. Roberto Saccon
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